La diffusione di massa dell’intelligenza artificiale generativa a partire dall’autunno del 2022 determina, soprattutto grazie alla facilità d’uso dei software text-to-img, un aumento vertiginoso di immagini prodotte dalla “creatività” degli utenti, e quindi – proporzionalmente – di opere tecno-kitsch. Tuttavia, gli utenti non sono tutti uguali: come abbiamo argomentato altrove, coloro che “creano” con l’intelligenza artificiale possono essere raggruppati in almeno quattro diverse categorie: dilettanti, creativi, artisti e istituzioni, in ognuna delle quali il tecno-kitsch si manifesta in modo diverso.

Il tecno-kitsch è decisamente onnipresente nei lavori dei “dilettanti“, di coloro che usano questi programmi per diletto e sono quindi liberi di esercitare la loro vena creativa: ma si tratta di una libertà illusoria, in quanto le loro produzioni (visibili su siti come Behance, Art Station, Deviant Art, e altri) non fanno altro che replicare le componenti tematico-stilistiche che l’intelligenza artificiale impara setacciando i social e altri dataset liberi, dove è dominante più o meno lo stesso immaginario ristretto che caratterizza il metaverso.

I “creativi“, invece, sono una ben definita categoria professionale che opera nelle agenzie di comunicazione, nel cinema, nella pubblicità, nei videogiochi, nelle redazioni e in altre situazioni aziendali, i cui prodotti sono in genere di qualità, competitivi a livello industriale e commerciale, e quindi difficilmente rientrano nel tecno-kitsch . Il tecno-kitsch, tuttavia, è sempre in agguato: uno dei più accreditati software per la grafica e la fotografia, Adobe Photoshop, non resiste infatti al fascino sottile della ingenua formula “dipingi anche tu come un artista”, introducendo dei nuovi “pennelli” che consentono a tutti di dipingere “come Keith Haring”:

Il nostro mantra, in Adobe – la creatività per tutti – è in linea con l’approccio di Keith Haring secondo cui l’arte deve essere democratizzata: l’arte non appartiene al museo, chiusa a chiave, riservata a un pubblico d’élite. È davvero per tutti.

La categoria degli “artisti” comprende invece quelli riconosciuti come tali dal sistema dell’arte contemporanea: si tratta di un concetto molto discusso e controverso, che tuttavia funziona bene per definire – almeno orientativamente – chi è artista e chi no, per stabilire cosa entra nel campo dell’arte e cosa resta fuori. Ne consegue che un “artista” contemporaneo affermato difficilmente produrrà opere tecno-kitsch, in quanto i suoi lavori rientrano a priori nel canone riconosciuto; inoltre va considerato che gli artisti più interessanti nel campo dell’intelligenza artificiale (Refik Anadol, Quayola, Ian Cheng e altri) non producono opere nel senso di semplici immagini, come i “dilettanti”, bensì elaborano progetti complessi (installazioni, lavori site specific, situazioni performative) caratterizzati da una marcata componente progettuale e autonomia realizzativa. Tuttavia, ancora una volta il tecno-kitsch è in agguato: il settore degli NFT – che pure è stato cooptato nel sistema dell’arte, soprattutto per le sue implicazioni finanziarie – annovera delle opere generate dall’intelligenza artificiale che mostrano una desolante somiglianza con i prodotti dei dilettanti, rispetto ai quali si differenziano (differenza non di poco conto, bisogna ammettere…) solamente per aver spuntato quotazioni da centinaia di migliaia di dollari nelle aste più prestigiose.

Infine, il settore in cui l’impiego dell’intelligenza artificiale mostra non indifferenti cadute tecno-kitsch è quello delle “istituzioni“; qui a volte si riscontra una vera e propria sudditanza verso le tecnologie, un’incauta ansia di modernizzazione che porta a risultati spesso imbarazzanti: dal chatbot di Nerone che ci guida nella visita al Parco Archeologico del Colosseo:

a quello del David di Michelangelo proposto dall’Accademia di Belle Arti di Firenze:

Sono esempi di quella “tentazione attualizzante” che mira a ridimensionare la fruizione dell’opera d’arte “avvicinandola al presente”, privandola della sua specificità storico-estetica per portarla sul piano della quotidianità colloquiale.